giovedì 26 settembre 2013

la Fretta, il male dei tempi moderni

Dai, sbrigati, muoviti! Andare andare!!

Non ci si deve mai fermare, mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa.
I giorni d'oggi sono caotici, nevrastenici, pieni di impegni da catalogare nei nostri smartphone e di foto da condividere via cloud mentre si è al semaforo.
Muoversi sempre, fermarsi mai. Anche a costo di sembrare macchine senza cuore, ligi solo al dovere.
E'inutile che pensi "non sta parlando di me, non sono certo io"... sei coinvolto anche tu, quando mandi sms mentre attraversi la strada e cerchi la parola giusta col T9. Quando la signora prima di te alla cassa del supermarket sta contando i 74 centesimi ad uno ad uno.

La fretta, dicevo. Quella che ha portato una Lei (o un Lui, o una coppia variamente assortita) a scartare avidamente un dildo da circa 30-40 cm per strada e a buttare l'involucro per terra. Da umano raziocinante deduco che tale oggetto di amore deve essere stato acquistato dalla parafarmacia/pornoshop lì vicino, aperta 24/7 coi distributori automatici.

Quale forza universale straordinaria avrà mai portato ad aprire la confezione con tale velocità? Che impeto d'amore può mai portare a comprare, magari di notte, un dildo modello Giano bifronte?
E se magari si fosse bloccato nella caduta dal distributore? Ve la immaginate la scena? Già prendiamo a pugni e calci la vetrata se ci frega 30 centesimi di bottiglietta d'acqua, figuriamoci 30 centimetri di plastica!

La fretta. Il mondo gira intorno alla fretta. E a fior di metafora concludo: rallentiamo, perché tanto, nel bene o nel male, a volte la fretta ti porta a prenderlo in quel posto.
modello Play dong DUO flesh, dimensioni approssimative 35cm

domenica 1 settembre 2013

morto scavato

Me lo state dicendo tutti. Ogni estate. Ogni anno. Da trent'anni a questa parte.
Non sono malato, non è anemia, non è qualche reazione a qualche medicinale o a qualche mese di isolamento in carcere.
Sono banalmente, mortalmente, definitivamente pallido, o diafano, latteo, cereo, o come diavolo volete voi.
Morto scavato, zombie, malato terminale. Ditemi tutto, tanto non aumenterà di certo la percentuale di melanina nelle mie cellule epidermiche. Al massimo le potrà far arrossire.
Non è (solo) rabbia quella che provo ogni volta che mi fanno notare il colorito, è consapevolezza di quanto una caratteristica fenotipica abbastanza variegata come il tono della cute possa trasmettere qualcosa di mio, che mio non è.
Essere pallido, o verde, o nero, o giallo non farà di me una persona buona o cattiva, degna del paradiso o meritevole dell'inferno. Quindi se mi devastassi di lampade d'inverno non cambierei certo opinione nei confronti della guerra in Libia o di quei quattro gatti che in pianura padana chiamano leghisti.
O forse sì? O forse le reazioni chimiche che avvengono sulla cute, oltre che a migliorare l'umore e rafforzare le ossa, rafforzassero anche le mie idee? Le mie capacità? Le mie battute?
E se le peggiorassero? E se dopo un ciclo da 100 sedute di trifacciale diventassi un cattolico devoto, o un pianista eccelso?
E se fosse tutta una montatura di chi ti vuole bello preciso come i divi della televisione?
E se invece la gente fosse leggermente più sveglia e se poco prima di aprir bocca pensasse?
Ma sì, fammi provare l'ebbrezza di andare da un nigeriano e dirgli in faccia "Ma sei nero! Hai preso troppo sole?".
Poi cercherò una stangona da 2 metri e le rinfaccerò la statura, sottolineando il fatto che deve praticare basket, così almeno potrà essere tra simili.

E se invece la smettessimo di guardare, e iniziassimo a vedere?